sabato, luglio 30, 2005

Una storia di ordinaria follia immobiliare a Milano

Io una casa ce l’ho. Ovviamente non l’ho comprata con il denaro che ho guadagnato, ma grazie alla divina provvidenza nella sua incarnazione più comune: un padre generoso e benestante. Come tutti sanno, il denaro che io e miei coetanei guadagniamo - quanti di noi appartengono alla categoria del precariato in tutte le sue scintillanti incarnazioni - è infatti finto. Nei nostri conti correnti transitano banconote del Monopoli. Conchigliette, palline colorate da Club Med con cui assicurarsi la merenda, il turno della sauna, ma inutilizzabili per accedere ai riti iniziatici dell'adultità. Primo fra tutti l' accensione del mutuo, fiaccola eterna che illumina i giochi olimpici della nostra occidentale esistenza. Questa casa nella quale vivo è stata pagata,nel 1999, circa 350 milioni di vecchie lire (gran parte dei quali erogati attraverso un mutuo decennale che nessuna banca mi avrebbe mai concesso). Una bella cifra, se potessimo osservarla con lucidità. Niente, con la mente appannata dalla catastrofe economica degli ultimi anni e l'esplosione atomica del mercato immobiliare. Tant'e che la signorina dell'agenzia, da me convocata durante una crisi isterica durata alcuni mesi (in seguito a una delusione sentimentale), circa un anno fa mi propose di metterla in vendita a 400 mila euro. La mia casa era più che raddoppiata di valore in poco più di quattro anni. L'improvvida affermazione della signorina, si sparse come benzina sulla brace della mia smania. Mi buttai a testa bassa alla ricerca di una nuova casa da comprare. Volevo spostarmi verso il centro. Volevo cioè, senza un nuovo mutuo che nessuno nuovamente mi avrebbe concesso, scambiare la mia casa con una casa forse anche più piccola ma, chessò, a Brera, o a S.Ambrogio. Mi sembrava che il mio ragionamento funzionasse. Ho premesso che ero preda di isteria, ma, obiettivamente, se di nuovo guardiamo alla faccenda con lucidità, non sarebbe poi così insensato immaginare di poter comprare una casetta di sessanta, settanta metri quadri in un posto carino avendo a disposizione 800 milioni di vecchie lire. Cioè uno sproposito di soldi. Ma in quattro anni e rotti le cose erano mollo cambiate. Non tutte. Come allora, quando un annuncio diceva "luminosa" generalmente significava "rispetto a un'aula bunker", "nei pressi di" stava per "a un paio di fermate di metro", "particolare" per "manco li cani" e "da ristrutturare" contemplava la possibilità che si dovesse camminare rasente i muri perché il pavimento era collassato. Ma io avevo a disposizione ottocento milioni, e mi sentivo serena. Salvo che per quella cifra – e questo era il cambiamento più evidente – non solo non si trovava quasi niente, ma quello che c'era sopra i 25 metri quadri, si vendeva come le rosette con la mortadella. Chiamavo all’alba, dalla cabina accanto all' edicola nella quale avevo trascorso la notte e dove avevo comprato il giornale per prima al mondo, c mi dicevano che la casa era già stata venduta. Quando? Come? Sono andata avanti così per qualche mese, fin quando non ho deciso di salire di categoria. Con l’inattabile lucidità dell’isteria mi sono detta: se per una casa di settanta metri quadri, mi sono stati proposti 800 milioni, perché non dovrebbero darmene 850 o 900. La casa da quattrocentosettantamila euro in Via Vincenzo Monti, in effetti, non era male. Ci mancherebbe, avrei detto se solo avessi avuto abbastanza fiato da ossigenarci il cervello. Ma quei sei piani senza ascensore mi avevano resa euforica e gassosa come una passeggiata sulla spianata del Machu Picchu. Stavo per comprarla. Ma avevo ancora da vendere l'altra. Quattrocentoventimila euro: ristrutturata mai abitata soggiorno angolo cottura, una camera, due camerette, tripli servizi e due terrazzi. Grazie alla discesa, il mio cervello nuovamente in attività mi poneva domande che non osavo formulare: da quando la parola cameretta aveva sostituito la parola ripostiglio per le scope? E davvero una toilette delle dimensioni di quelle di un aereo è diventata regolamentare in un appartamento? La terrazza affacciava sulle rotaie del tram, a una distanza che avrebbe consentito uno scambio di opinioni coi passeggeri. La cucina era un 'ipotesi nella zona salotto. Ma l'agente mi spiegava che la si sarebbe potuta fare anche al posto di uno dei mini bagni, rendendola così "lo vogliamo dire? Più ergonomica". E diciamolo. Ma nel dirlo, per l’euforia, avevamo raddrizzato la schiena rischiando così di scapocciare contro il soffitto inspiegabilmente a due metri e poco più. Quel giorno, sono tornata a casa convinta di poter agevolmente vendere la mia casa a un miliardo. La mattina successiva mi sono svegliata con un gran mal di testa. Dopo due giorni avevo ridipinto le pareti della camera da letto e comprato una nuova libreria da Ikea. La crisi isterica era passata.

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